Capitolo 8 – Il Codice dei Luoghi Magici

Consultando le sue antiche mappe, Finnis notò che ai margini, tra le linee e i rilievi, comparivano strani simboli. All’inizio li aveva scambiati per ornamenti, tratti decorativi del copista.

Ma col tempo, durante le sue esplorazioni nel mondo reale, cominciò a vederli ovunque: incisi nelle pietre, scolpiti nei ponti, nei muri, persino nelle rocce dei boschi.

Erano identici a quelli tracciati sulla pergamena.

E ogni volta che si avvicinava a uno di essi con la mappa viva, sentiva una vibrazione, un fremito, una luce appena accennata.

Col passare dei mesi, e poi degli anni, Finnis cominciò a segnare tutto: taccuini pieni, linee che si collegavano, sentieri che combaciavano.

L’idea diventava sempre più chiara: quei simboli erano reali. E custodivano un messaggio.

Un giorno, rovistando tra le reliquie del passato, ritrovò un manoscritto antichissimo: a Narnia veniva considerato solo una favola.

Una leggenda per bambini.

Eppure, tra quelle righe, c’erano verità.

Parlava dell’importanza dell’Acqua, di una principessa di nome Lucy, amata dal popolo per la sua bontà e la sua visione.

A Narni, quel nome non era sconosciuto: la gente venerava da secoli una donna di fede e purezza chiamata Beata Lucia.

Un altro simbolo. Un’altra connessione.

Finnis scrisse sul suo diario:

"Narnilandia non è solo un ricordo. È un codice. Una mappa vivente. Un viaggio tra le pietre, l’acqua, i nomi dimenticati."

Fu durante una delle sue passeggiate nei vicoli di pietra che incontrò un uomo con capelli e barba bianchi, con lo sguardo curioso e gentile: si chiamava Joseph.

— Non sei del posto, vero? — disse, osservando la mappa che spuntava dallo zaino di Finnis.

Finnis sorrise: — Sono in cerca di simboli. Ce ne sono ovunque, ma nessuno li vede.

Joseph annuì lentamente. — Qualcuno li vede. Ma non tutti sanno cosa significano.

Finnis lo fissò: — Tu sì?

— Forse — rispose Joseph. — Ma certe verità si possono solo scoprire... non raccontare.

Poi si allontanò, lasciando Finnis con una certezza: anche altri potevano vederli.

In quel momento capì: anche altri potevano vederli, ma solo chi possedeva "gli occhi giusti".

Non era una questione di vista, ma di attenzione. Di ascolto.

La verità non era invisibile. Era solo ignorata dalla massa.

E Finnis lo scrisse nel suo diario:

"I simboli sono ovunque. Ma solo chi guarda davvero, li vede."

E così, passo dopo passo, cominciò la ricerca della città perduta.